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Abitava in piazza Stella, un piccolo pozzo d’aria in ai vicoli tra San Giorgio e San Lorenzo.

Il centro di Genova è pieno di insoddisfacenti, luoghi a prima privi di una loro logica e di qualsiasi attrattiva; brandelli di vuoto buttati lì a caso all’incrocio di qualche carrugio.

È probabile che questi luoghi siano per sbaglio, perché non sono tornati i conti dei mastri muratori, o perché all’ultimo momento mancati i soldi per costruirci un palazzo.

Oppure c’era un palazzo, più in là nel tempo, una delle cento e più di città costruite dalle famiglie nobiliari; e magari questa famiglia si è messa nei guai, complottato, ha contrastato, e la Repubblica gli ha disfatto la torre: è capitato nel corso dei secoli.

A volte è stato messo un cippo con un messaggio ammonitore, altre volte si è correre.

Restano queste piazze, come piazza Stella, che a fermarcisi nel mezzo ci si sente a disagio.

Sascia era insoddisfatta di piazza Stella.

Non perché un acuto senso dell’ordine urbanistico, né perché abitare quel luogo che un altro mortificasse il suo senso .

Quello che non le andava di piazza Stella che quella stupida piazza svolgeva egregiamente il compito di contenere e mantenere intatto tutto ciò che ella detestabile della vita che conduceva.

Incolpava quella piazza di aver lasciato sua madre, la incolpava per non aver poi costretto suo padre a rimanere.

L’accusava anche, insensatamente, per il nome incomprensibile che .

Sascia è nata molto lontano da lì, e lei ricorda con vivide il viaggio sulla nave che l’ha portata in Stella.

Anche se quando questo aveva poco più di due anni, ricorda il mare mostruosamente instabile, il tavolato di legno su cui aveva tre giorni e tre notti avvoltolata in una coperta, terrorizzata dalle nuvole di nero che scendevano giù fino a lei da un lungo comignolo per avvolgerla e farla sparire.