I perché di una disfatta, riflessioni sul voto in Sardegna

ATTENZIONE! Questo articolo è stato pubblicato il 27 Febbraio 2009 e alcuni riferimenti potrebbero non funzionare.

Un nostro caro amico ci ha inviato alcune considerazioni sulla recente svolta dell’elettorato sardo.

Cos’è cambiato in soli cinque anni tanto da convincere gli isolani a voltare le spalle a Soru e alla sinistra?

roccia

Il recente voto in Sardegna ha reso evidente la disfatta nazionale di un partito, il PD, e ha seccamente bocciato un possibile astro nascente: Renato Soru.

Sono sardo; ho votato Soru, dunque sono tra gli sconfitti. Ma alcune analisi del voto sardo fatte “da sinistra” o da fuori Sardegna mi paiono superficiali, facilone, persino irritanti. Inaccettabili quelle tendenti a bollare come stupidi, ignoranti, incompetenti, ridicoli etc. quanti hanno votato per l’altra parte. I sardi nel 2004 diedero oltre il 51% a Soru, decretandone il trionfo. Nel 2009 hanno decretato il trionfo dell’avversario di centrodestra. Possibile che in cinque anni la Sardegna sia passata da un grado di alta intelligenza a uno di così evidente “stupidaggine”? Partirei da questa prima riflessione, per cercare di indurre a toni più bassi la sicumera di chi, invece di riflettere, si erge a giudice e tende a ridicolizzare l’avversario. Farò un esempio: la lettera aperta del giornalista Claudio Messora, molto popolare tra gli elettori pro-Soru durante la campagna elettorale. Messora ridicolizzava Gianni Chiodi, già candidato PDL in Abruzzo e ora presidente di quella regione, e allo stesso modo tentava di ridicolizzare il candidato sardo Cappellacci che – guarda caso – ha vinto anch’egli (e in modo nettissimo). La sinistra, se non smette questo tono burbanzoso e di sprezzante sufficienza, continuerà a consolarsi delle sconfitte con le tonnellate di barzellette su Berlusconi che intasano la rete e … continuerà a prendere legnate nelle elezioni.

Analizziamo qualche aspetto, iniziando dalla novità-Soru da raffrontare all’attività di governo dello stesso Soru.

La candidatura di “Mister Tiscali” nel 2004 si impone soprattutto per il pauroso vuoto di rinnovamento quadri nel centrosinistra. Candidatura “nuova”, si contrapponeva al solito armamentario di figure note da oltre vent’anni, opposta ai soliti schemi e organigrammi; l’attenzione e il consenso popolari erano talmente vasti da farla accettare anche ad aree piuttosto ampie di scetticismo (in particolare, tra i DS).

L’attività di governo ha risposto alle attese? Soru ha avuto dei meriti che non vanno nascosti. Ma ha anche suscitato perplessità, dubbi, sensazioni di alto rischio che il non sardo, forse guidato solo da schemi stereotipi dei media, non riesce a percepire. L’immagine di Soru, fuori dall’isola, deriva dalle comparse e interviste alla RAI, a La7, sul Corriere della sera, su Repubblica etc. Bastano?

I primi atti di Soru furono molto popolari tra i sardi, a cominciare dall’estrema chiarezza del discorso inaugurale in Consiglio regionale. In Sardegna, salvo rare eccezioni, il Consiglio si è spesso caratterizzato come “la palude”, il ventre molle che cerca fondamentalmente di autotutelarsi. Soru fu chiaro: NO alla politica “dietro le quinte”, fatta di mezzucci e di scambi sottobanco e ammonì il Consiglio: o si va avanti spediti o si va tutti a casa, dal presidente della regione all’ultimo consigliere.

Governare significa scegliere, con conseguenti plauso o ostilità. Anche le scelte di “buona amministrazione” possono suscitare opposizione netta; specie se si toccano interessi (magari anche meschini). Così avvenne per la formazione professionale, settore allargato in maniera abnorme e clientelare dal precedente centro-destra; ma ridurre e razionalizzare portò a decisioni “impopolari”: montò la protesta di chi (magari assunto clientelarmente) parlava di attacco all’occupazione. Altre decisioni vennero accolte con maggior favore: la limitazione degli sprechi nell’amministrazione, la drastica riduzione delle “auto blu”; il taglio ai costi per prebende delle tante cariche più o meno inutili, con riduzione delle Comunità montane, dimezzamento del numero di consorzi industriali (ben 16, in una regione così bassamente industrializzata!), soppressione di enti inutili. E meritorio è stato anche l’impegno sulle servitù militari, con confronti (e scontri) col governo nazionale, onde ridurne il peso eccessivo che tradizionalmente grava sulla Sardegna. Nel campo della formazione postuniversitaria, il progetto master & back, dava ai giovani sardi (pur con qualche disfunzione) l’accesso a formazione qualificata fuori dall’isola e ne incoraggiava il ritorno. Né vanno dimenticati dei risultati nel settore industriale, come la riconversione della cartiera di Arbatax o l’avvio del “progetto GALSI” (gasdotto che, dall’Algeria, arriverà nella penisola, attraversando la Sardegna, ove porterà finalmente una risorsa da cui sinora l’isola è stata esclusa). Sono solo alcuni dei meriti della giunta Soru. (… segue, clicca sotto per leggere l’articolo completo)

Quasi emblema e, ad un tempo, fonte di controversie per Soru è stata la politica ambientale, avviata dapprima con la cosiddetta “legge salvacoste” e poi attuata con il piano paesaggistico regionale. Ispirata dal giusto principio di non “consumare il territorio”, bene notevolissimo della Sardegna, ha dato luogo sia ad accoglienze entusiastiche sia ad attacchi forsennati. Ovviamente, c’è stata la sollevazione del “partito del cemento e del mattone”. Il massimo esponente in questo campo è stato forse Sergio Zuncheddu, costruttore e proprietario dei più diffusi organi d’informazione in Sardegna (il quotidiano “L’Unione Sarda” e l’emittente televisiva “Videolina”). Ma non va sottovalutata neanche l’obiezione di chi vedeva l’eccessivo potere discrezionale della giunta nel determinare gli strumenti urbanistici comunali, con compressione dei ruoli dei comuni e del Consiglio regionale. La giunta Soru avocava a sè il ruolo di garante del corretto sviluppo urbanistico, tacciando di “cementificatori” (non sempre correttamente) chi richiedeva ambiti di decisione più ampi della sola giunta regionale.

Discrezionalità e accentramento di potere hanno suscitato dubbi più gravi nel cosiddetto “affare Saatchi & Saatchi”, un grosso appalto (circa 56 milioni di euro) per la gestione della pubblicità istituzionale della regione. Appalto assegnato al colosso Saatchi & Saatchi con una gara molto discussa e poi annullata. Si sarebbe scoperto, infatti, che la S & S intendeva affidare in subappalto circa un terzo a un consorzio d’imprese guidato da ex dirigenti Tiscali o da esponenti che con Tiscali avevano collaborato; risultava poco lineare il comportamento del presidente di commissione Fulvio Dettori (altissimo funzionario regionale, fortemente difeso da Soru); si faceva strada il dubbio che lo stesso Soru avesse esercitato pressioni per l’assegnazione dell’appalto. Il Consiglio regionale istituì una commissione d’inchiesta. La relazione finale (votata dall’intero consiglio, maggioranza e opposizione) censurava l’operato della gara e del suo presidente. Si apriva un’indagine della magistratura, con lo stesso Soru iscritto tra gli indagati. Sorgeva il dubbio: è ancora credibile il messaggio ricorrente di Soru, secondo cui la Sardegna può svilupparsi solo se vi si sviluppa “lo spirito di impresa”?

E si poneva anche il rischio di conflitto d’interessi, con analogie Soru-Berlusconi nel campo dell’informazione, venute alla luce con l’acquisto, da parte di Soru, de “L’Unità”. Acquisto, peraltro, per quanto salutato dai giornalisti della testata, che si pone anche come operazione politica interna al Partito democratico, per una conquista di potere. Troppo evidentemente il salvataggio del “giornale di Gramsci” determinava un debito di gratitudine. Infatti l’allora segretario Veltroni non ha mai avuto dubbi nel sostenere Soru dovunque e comunque, anche a costo di saltare passaggi che nel popolo di sinistra erano considerati vitali. Ad esempio, ricandidare Soru come presidente evitando di fare le primarie: altrove le primarie si facevano, ma in Sardegna no. E ciò per evidente e ripetuto rifiuto di Soru a sottoporvisi. Le stesse dimissioni finali di Soru da presidente sono state chiaramente dettate dall’intento di porre partito e coalizione davanti al fatto compiuto, con l’imminenza del voto anticipato che non avrebbe più consentito consultazioni primarie. E Veltroni ha assecondato anche questa scelta.

Decisionismo personalistico che concludeva una travagliata serie di scontri. Il principale sostenitore, nel 2004, della candidatura Soru era stato Antonello Cabras. Ma i due sarebbero stati avversari, in una battaglia interna al PD sardo, in occasione delle primarie per l’elezione del segretario regionale del partito. Non mancavano argomenti a favore di Soru: Cabras non era l’auspicato rinnovamento (sta in politica ad alti livelli da venticinque anni!) e lo stesso voto delle primarie aveva palesato diverse irregolarità. Ma Soru era stato, in tutta Italia, anche l’unico presidente di regione del PD a volersi candidare anche come segretario regionale del partito. E questo intento di controllare direttamente il partito non sarebbe finito: la tormentata estate del 2008 ha vissuto fasi squallide per tutti: Cabras si rende conto che Soru – da solo – non riuscirà ad essere rieletto e propone di recuperare il consenso con primarie “di coalizione”. Soru si oppone. Vista l’inconciliabilità di posizioni, Cabras si dimette. Il PD sardo, in fase di stallo, cerca affannosamente un accordo. Ma, mentre il grosso dei delegati si astiene dal votare in attesa del sospirato accordo interno, i soriani operano il blitz: eleggono a sorpresa Francesca Barracciu, fedelissima di Soru, con partecipazione al voto di soli 72 delegati su 155. Proteste vibrate non frenano il disegno. I soriani non pensano minimamente alle dimissioni della neoeletta e puntano a “recuperare l’unità” senza mollare la segreteria. Tempo perso e danni per la sinistra. Il PD, come non era riuscito ad esprimere un segretario di maggioranza, non riesce poi neanche a raggiungere i voti necessari per sfiduciarlo (in ciò, anche favorito da strane norme statutarie del PD). Una pena: dall’altra parte gli anti-Soru pensano di far prevalere la propria linea politica … facendo un esposto al tribunale! Conclusione: il PD nazionale azzera la situazione e nomina un commissario regionale del partito (Achille Passoni, quello che ha gestito la fase elettorale).

Soru è decisionista e sprezzante non solo col Consiglio regionale, ma con la sua stessa giunta: licenzia due assessori (Enrichetta Addis e Maddalena Salerno) e induce alle dimissioni altri tre: Elisabetta Pilia, Tonino Dessì e Francesco Pigliaru. Particolarmente dolorose e sconcertanti risultano le dimissioni degli ultimi due, molto apprezzati per professionalità e per correttezza istituzionale. Personalismo nelle contrapposizioni e personalismo nelle agevolazioni: il sacrosanto principio del rinnovamento trova attuazione nella NON ricandidatura di chi ha già svolto due legislature. Così cadono vittime illustri, compreso Giacomo Spissu, presidente del Consiglio regionale uscente. Ma il criterio non viene applicato a Gianvalerio Sanna, che viene comunque ricandidato … perché fedelissimo di Soru.

Il decisionismo soriano ha la fase più marcata con la legge regionale statutaria: impostata, per volere di Soru, in senso fortemente presidenzialistico, ha suscitato anche forti perplessità per il rischio di conflitto d’interessi. Include nelle sue norme il “blind trust”, che impone a un presidente imprenditore di cedere la gestione delle proprie attività a un amministratore esterno, ma consente alle sue aziende di partecipare alle gare d’appalto della Regione Sardegna (il presidente predispone gli appalti; le aziende del presidente concorrono). Il Consiglio regionale (solito esempio di pavidità della “palude”) approva la legge a maggioranza, nonostante mugugni e malumori. Di lì a non molto viene promosso un referendum abrogativo (anche grazie alle firme di alcuni consiglieri che pure avevano votato la legge). Ci si sarebbe aspettata una battaglia per far valere le ragioni o di conferma della legge o della sua abrogazione. Invece si muove quasi solo quest’ultimo fronte, mentre Soru e i soriani tifano manifestamente perché non si raggiunga il quorum minimo di votanti e il referendum risulti comunque non valido. Strana scelta, questa di far trionfare il “nuovo” e la “nuova democrazia” puntando sulla non partecipazione alle decisioni. Richiama esperienze precedenti: l’invito di Craxi ad andare al mare, invece che andare ai seggi e l’analoga discutibile scelta della chiesa in occasione del referendum sulla legge per la procreazione assistita.

E il metodo di far fallire il quorum si ripete anche in occasione di altri due referendum, per leggi riguardanti la gestione del territorio e delle risorse idriche. Va detto che questi altri due referendum risultavano molto discutibili e difficilmente condivisibili, ma puntare a respingere l’iniziativa per mancanza di quorum dei votanti invece che per scelta diretta dei cittadini è metodo che ha poco a che fare con la vera democrazia.

Qualcuno si stupirà, ma in Sardegna è abbastanza diffusa un’equiparazione tra i metodi di Berlusconi e quelli di Soru. Li accomuna l’insofferenza per i necessari passaggi della politica. Entrambi hanno la tendenza ad avere non degli interlocutori, ma degli ubbidienti. Berlusconi esprime chiaro fastidio per il “teatrino” della politica che “non lo lascia governare”; la sua gestione del governo richiama quella di un CdA. Soru ha una tendenza analoga (ovviamente, i soriani respingono con sdegno queste critiche, ma io credo che questo loro mancato esame spieghi molto della sconfitta subita).

Un eventuale nuovo successo di Soru in Sardegna avrebbe significato non solo l’inizio di un’inversione di tendenza, ma anche la consacrazione del potenziale avversario nazionale di Berlusconi. E l’immagine che di Soru si andava affermando nazionalmente confermava questa possibilità. Questa è stata vista come ulteriore e ancor più grave rischio: si sarebbe combattuto il berlusconismo con un elemento dalle caratteristiche analoghe a quelle del leader del centrodestra? Parte della sinistra ha reagito con punte estreme di ostilità che, da ultimo, sono giunte a salutare la sconfitta come fatto positivo. Posizione aberrante, ma espressione di malumori evidenti.

Altri malumori hanno trovato collocazione – ad esempio – nel voto di protesta dato all’IRS di Gavino Sale, leader di uno sparuto gruppo indipendentista, mai andato oltre lo 0,1 – 0,2 % e ora premiato con circa il 3% dei voti. Ancor più grave risulta la oramai chiara tendenza di zone tradizionalmente operaie e orientate a sinistra che hanno dato la maggioranza al centrodestra. La tendenza autocratica di Soru ha determinato anche la rottura con il Partito sardo d’Azione, tradizionalmente orientato ad alleanze a sinistra e, invece, alleato del centrodestra nelle ultime elezioni. Pochi frutti ha dato la presenza nel centrosinistra di una lista di sardisti dissidenti.

Perché, allora, ho votato Soru se in me prevalgono le critiche e i dubbi su quelli che considero aspetti positivi? La mia scelta di voto era originariamente orientata al voto di protesta (IRS di Gavino Sale). Ho deciso per il voto a Soru solo quando l’attacco di Berlusconi al capo dello stato e alla costituzione mi hanno fatto trascurare ogni altra considerazione, a favore del solo valore politico nazionale del voto: cercare di far emergere un ALT contro la vera e propria tendenza golpista del presidente del consiglio.

Soru ha annunciato di voler continuare l’impegno politico: andranno valutate le sue azioni e le sue iniziative. Se vorrà considerare seriamente non solo i suoi meriti, ma anche gli errori, potrebbe diventare un’autentica risorsa della sinistra. Se vorrà solo difendere atti e metodi sinora dimostrati, non mi sentirei proprio di seguirlo.

MARIO SCIOLLA

Autore: Daniele

Ho insegnato matematica e scienze alle medie a Genova, Addis Abeba e Barcellona. Mi piace scovare giochi didattici dedicati alla matematica. Io e Luvi abbiamo viaggiato in Europa, India, Tibet, Nepal, Cina, Australia, Indonesia, Birmania, Tailandia, Sri Lanka, Perù, Messico, Guatemala, Belize, Etiopia, Marocco, Egitto, Congo, Ruanda, Mali, Costa d'Avorio, Togo, Ghana e qualche altro posto. Mi trovi su Instagram

Un commento su “I perché di una disfatta, riflessioni sul voto in Sardegna”

  1. L’analisi di Mario evidenzia da un lato la fecondit politica e culturale dei territori e per contrasto la desolante distanza della periferia politico-amministrativa locale con lo stato centrale, che usa i fermenti “territoriali” (in un ambiente di permanenete campagna elettorale) solo in senso strumentale ideologico (tipo -sono i soliti estremisti antidemocratici- o -sono quelli che dicono sempre no e non propongono- ecc.)o comunque non ci si confronta. Questo aiuta solo la destra o il centro destra e il suo comodo simbolismo dei luoghi comuni, mentre affonda il cosiddetto centrosinistra che si affanna a conquistare il centro (mi direte che batto sempre sullo stesso tasto)e tra l’altro in modo improvvisato e si preoccupa solo di sposare acriticamente le tesi liberiste. Una lettura più attenta del voto sardo trovo che sposti, dopo tutto, l’enfasi sullo sbandamento del voto operaio “storico” che pure c’è stato, verso una coppia di fattori collegati è cioè la totale sfiducia nello stato “marcata” dalla distanza di cui sopra con conseguente fuga dal voto di tanti elettori di sinistra e la facile e quasi naturale facoltà del centrodestra di aggregarsi in alleanze (nel caso specifico nostro con l’udc)anche dell’ultima ora che poi non sono mai “problematiche”…è un medesimo sentire, come si dice.
    Concludo chiedendo a Mario come si spiega la sconcertante virata a destra del partito sardo d’ azione e quale delle due anime di Soru batte di più nella questione dell’ Unità inteso come il giornale attualmente in crisi?
    ciao!
    matteo

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