Allora abbiamo vinto?

ATTENZIONE! Questo articolo è stato pubblicato il 22 Aprile 2006 e alcuni riferimenti potrebbero non funzionare.

IL COMMENTO
La rimozione della sconfitta
di CURZIO MALTESE

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NEL GIORNO in cui il presidente americano chiama Romano Prodi per congratularsi, il premier uscente italiano annuncia che non telefonerà mai al suo avversario perché considera la vittoria dell’Unione frutto di brogli e quindi illegittimo il prossimo governo. Siamo oltre la natura eversiva del Caimano, siamo alla follia. Si sono viste in questi anni molte vittorie elettorali decise da una manciata di voti, a volte centinaia come nel caso del primo mandato Bush. Quello che non s’era mai visto è uno sconfitto che rinnega il verdetto delle urne anche dopo la sentenza del massimo organo della magistratura. Il messaggio che il presidente del Consiglio in carica lancia alla “sua” metà del Paese è una specie di invito all’insurrezione.
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Il linguaggio è oggettivamente da golpista. Proviamo a prenderlo alla lettera. Se il risultato elettorale è stato rovesciato, con la complicità della Corte di Cassazione, ne consegue che gli elettori di centrodestra sono autorizzati a qualsiasi reazione nei confronti di un simile, gigantesco sopruso, compresa la cacciata del governo con mezzi diversi dal voto.

Per fortuna nessuno prende Silvio Berlusconi alla lettera, neppure i suoi elettori. La sua guerra civile è un gioco, per quanto sinistro, il golpismo è da operetta, la “vittoria rubata” è l’ultima favola del berlusconismo e la svolta eversiva è soltanto una strategia di giornata. Berlusconi ha capito che il governissimo non si farà mai e ora è passato dalle lusinghe alle minacce di ostruzionismo per poter meglio trattare con la nuova maggioranza la tutela dei propri enormi interessi economici.

In questa logica la telefonata di congratulazioni al vincitore è un atto facoltativo. Un semplice gesto di civiltà, dunque anti economico. C’è da scommettere che se Romano Prodi annunciasse domani mattina di voler cambiare la legge Gasparri sulle televisioni, riceverebbe non una ma molte chiamate. Ma la sopravvivenza di Berlusconi alla stagione del berlusconismo pone anche questioni serie.

Nelle democrazie occidentali è costume consolidato che il leader sconfitto si faccia da parte e lasci la guida della sua coalizione a un capo più giovane. Berlusconi ha troppi beni al sole, come dice lui, per prendere in considerazione questa dignitosa scelta. Rimarrà ben piantato alla guida dell’opposizione e a quanto pare con l’intenzione di fare il Ghino di Tacco del Senato.

È un problema per tutta la politica, per la sinistra come per la destra, ma rappresenta anche una paradossale opportunità. Quella di sbarazzarsi di un certo modo di concepire la politica. La scelta eversiva di Berlusconi dovrebbe far riflettere chi è tentato dal ritorno all’inciucio. Si può chiamare in modi più eleganti, accordo istituzionale o bipartisan, ma la sostanza rimane la stessa. Ripetere l’errore del ’96 sarebbe fatale e incomprensibile agli elettori dell’Unione.

Il Berlusconi di oggi non è diverso da quello che rovesciò di colpo il tavolo della Bicamerale dopo aver allontanato il pericolo della legge sul conflitto d’interessi e d’una riforma televisiva. Un personaggio inaffidabile con il quale non si possono fare accordi. Naturalmente è dovere della maggioranza cercare un’intesa su singoli punti d’interesse generale con le aree più ragionevoli dell’opposizione. Ma stavolta evitando gli umilianti e oltretutto inutili pellegrinaggi nelle residenze berlusconiane, i patti della crostata e i teatrini da Vespa. La ricerca di un’intesa diretta con Berlusconi servirebbe soltanto a indebolire il nuovo governo Prodi, a segare il ramo sul quale siedono tutti i capi e capetti dell’Unione.

Il berlusconismo postumo pone un problema ancora più grave all’opposizione. In apparenza la destra fa quadrato come sempre intorno al suo padrone. In pratica, siamo davanti a una scissione non dichiarata. Nell’impossibilità di cambiare la guida della coalizione, alcuni alleati di Berlusconi cercano almeno di prendere le distanze dai vagheggiamenti aventiniani del Cavaliere. È vero che per cinque anni Fini e Casini hanno votato qualsiasi cosa e obbedito a tutti gli ordini. Ma un conto è dover salvare il governo e le poltrone, altro è organizzare l’opposizione con un capo che realisticamente ha ormai un grande futuro alle spalle.

Nei fatti, in queste settimane, si sono già viste all’opera due distinte opposizioni. Una è la guardia berlusconiana, composta dai fedelissimi di Forza Italia e dai berluscones sparsi negli altri partiti, da La Russa a Buttiglione a Giovanardi. L’altra è il progetto di una nuova destra post berlusconiana incarnato da Fini, Casini e altri, che sono stati per molto tempo in silenzio ma ora cominciano a parlare e a dire cose molto lontane, nello stile e nella sostanza, dalla parole d’ordine del capo.

Il 10 aprile il berlusconismo non è morto, come ci si poteva augurare, ma si è ridotto a uno zombie che offre incubi al posto degli antichi sogni. Può fare paura ancora per qualche tempo, non fermare la nuova stagione.
(22 aprile 2006)

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