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Il nuovo liceo scientifico

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La riforma della scuola secondaria superiore procede a tappe forzate per poter entrare in vigore nell’anno scolastico 2009 – 2010. Ma si tratta di una vera riforma?

Un gruppo di docenti del liceo scientifico “U. Dini” di Pisa, che a partire dagli anni ’70 ha messo in atto un processo di rinnovamento e sperimentazione che gli ha consentito di “indossare” a buon diritto l’aggettivo che lo qualifica: una sperimentazione di Scienze, l’introduzione del Piano Nazionale Informatica per la Matematica prima e poi per la Fisica hanno costruito un quadro orario che ha tentato di rimediare al forte squilibrio esistente nella scuola gentiliana fra sapere umanistico e sapere scientifico, in modo da poter fornire agli studenti una preparazione completa e più rispondente alle richieste della società attuale, fortemente permeata di cultura scientifica.
Tutto ciò è avvenuto senza rinunciare alla caratteristica di licealità, cioè senza trasformare l’impianto culturale della scuola curvandolo verso obiettivi ed interessi più applicativi, ma prefigurando invece una tipologia di studente in uscita pronto a proseguire gli studi nell’Università sia in ambito scientifico che umanistico.
La “riforma” che ci attende è destinata a distruggere tutto questo: delle diciassette ore settimanali che il nostro liceo vedrà sparire nel quinquennio ben dodici saranno di materie scientifiche (il quadro orario del biennio passerà da 32 ore settimanali a 27, quello del triennio da 32/33 a 30). Sparirà dal biennio del liceo l’insegnamento della Fisica che il PNI prevedeva, si perderà un’ora di Matematica in ciascuna classe del triennio, e subiranno tagli anche le Scienze (tre ore settimanali nell’arco del quinquennio). Si tornerà al grigiore di un liceo scientifico simile a quello gentiliano, con la differenza che quello fu istituito nel 1923, quando forse non era così palese, come invece è oggi, il bisogno di cultura scientifica per il nostro Paese.
Nessuno potrebbe affermare che oggi si possa fare a meno di una crescita rapida e diffusa della conoscenza scientifica, non solo per i valori di spirito critico, libertà di opinione, rispetto della razionalità che essa porta con sé, ma anche per le ricadute in termini di benessere, possibilità economiche, dignità a livello internazionale che da essa derivano. Questa opinione comune non trova corrispondenza in alcuna delle scuole che la proposta di riforma ci mette davanti.
Noi riteniamo infatti che in Italia mancherà una scuola scientifica pubblica di buon livello, si chiuderanno definitivamente e senza averle sottoposte a vaglio critico tutte le sperimentazioni, quelle inutili, ma anche quelle utili e necessarie, quali erano ad esempio i PNI. Gli esiti possibili sono due: un Paese che diminuisce la sua preparazione scientifica media, già inferiore a quella di molti altri paesi, oppure un Paese che fa passare la sua preparazione scientifica attraverso scuole di eccellenza, ma non pubbliche.
Nessuna di queste due alternative ci piace. Chiediamo a chi ha il potere di decidere le sorti della scuola di riflettere sul passo che si sta per compiere e di pensare a ipotesi diverse.

Fonte: Il Messaggero

TALIS, analisi sull’insegnamento nei Paesi OCSE

Creating  Effective Teaching and Learning Environments:  First Results from TALIS

(Creare ambienti di apprendimento efficaci, risultati da TALIS)

Lo scorso 17 giugno vari organi di stampa divulgavano la conferenza stampa del ministro dell’istruzione che commentava i risultati di un’indagine internazionale (TALIS: Teaching and Learning International Survey) voluta dall’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, da cui l’acronimo OCSE (o Organisation for Economic Co-operation and Development – OECD e Organisation de coopération et de développement économiques – OCDE in sede internazionale).

Poiché le conclusioni a cui perveniva il ministro sono contestate da molte organizzazioni sindacali, abbiamo cercato di districarci tra le percentuali e gli altri dati riportati dall’indagine sfogliando le oltre 300 pagine dell’analisi prelevata direttamente dalla fonte.

Lasciamo le conclusioni e i commenti a voi.

Iniziamo con l’elenco dei Paesi che hanno partecipato alla raccolta dei dati relativi a questa indagine:

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Abbiamo estratto i grafici che ci sono sembrati più significativi, iniziamo dal profilo demografico degli insegnanti:

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L’Italia è al primo posto: ha gli insegnanti più “anziani”.

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Quasi l’80% degli insegnanti della scuola media sono donne, mentre i dirigenti scolastici sono abbastanza equilibrati tra i due sessi: 45% donne e 55% uomini.

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In questa tabella troviamo l’Italia al secondo posto. Come prevedibile un corpo docente anziano anagraficamente comporta anche una lunga esperienza professionale, quasi il 60% insegna da oltre 20 anni.

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Qui vediamo la nostra autonomia scolastica, al penultimo posto. I nostri dirigenti scolastici hanno un margine di manovra limitatissimo. Non possono reclutare direttamente, non decidono aumenti salariali e non possono licenziare.

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Non potendo licenziare, i nostri dirigenti però sono tra i primi a lamentarsi della scarsa preparazione culturale dei propri insegnanti e del loro assenteismo.

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Una buona metà dei dirigenti lamenta anche carenze nelle risorse scolastiche: laboratori, biblioteche e altro.

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Anche l’atmosfera delle classi non è molto serena, un 71,6% dei dirigenti denuncia non meglio precisati “classroom disturbances” in grado di ostacolare il percorso formativo.

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Passiamo adesso all’aggiornamento professionale dei nostri docenti. Non siamo gli ultimi ma pur sempre sotto la media. Forse ci basta la nostra lunga esperienza?

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Interessante osservare quali siano le competenze che i docenti vorrebbero acquisire o migliorare, al primo posto la capacità di insegnare ad alunni con particolari esigenze al secondo posto le abilità necessarie ad utilizzare le nuove tecnologie.

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Infine una paio di tabelle relative alle risorse umane.

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Secondo questa tabella le nostre classi sono mediamente formate da 21,3 alunni. (S.E. Standard errors riflette il grado di incertezza nelle tabelle statistiche)

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Quest’ultimo grafico indica che l’Italia ha un buon rapporto numerico tra studenti e docenti, ma risale al 2005 (Chart D2.3. Ratio of students to teaching staff in educational institutions, by level of education, 2005)

Consigliamo di scaricare e leggere personalmente il volume.

OECD Teaching and Learning International Survey (TALIS)